Essere un leader significa essere un un esempio…? Ok, allora facciamolo per davvero!
La leadership, questa creatura mitologica che cambia pelle ogni dieci anni come un serpente con l’ansia da prestazione. Prima era carisma, poi visione, poi resilienza (qualsiasi cosa significhi oggi). Ora? Si parla di autenticità. Ma, come al solito, tra il dire e il LinkedIn di mezzo c’è la realtà.
C’è stato un tempo in cui essere leader voleva dire incarnare un modello perfetto: quello a cui aspirare ma che nessuno poteva veramente raggiungere. Era l’epoca del “seguimi, ma non sperare di arrivare dove sono io”. Poi è arrivata la svolta morbida: trasparenza, empatia, umanità… parole belle, sì, ma spesso svuotate come una tazzina da caffè aziendale.
E allora, in mezzo a tutta questa recita ben confezionata, la domanda è: possiamo davvero essere autentici, o stiamo solo cercando un nuovo filtro per apparire finti in modo più convincente?
Ecco, in questo articolo proviamo a fare un po’ di pulizia. Scendiamo dal piedistallo, togliamoci le scarpe (che tanto sono già sporche) e parliamo di autenticità vera. Quella scomoda, quella che fa domande, quella che costruisce legami veri. Non per finta. Non per KPI.
Addio al leader infallibile, nessuno ci crede più
Una volta il capo doveva essere perfetto. Tipo un supereroe con il badge, sempre sicuro, sempre lucido, sempre un passo avanti. Il suo lavoro? Far vedere agli altri quanto erano indietro.
“Imita me, se riesci” – e nessuno ci riusciva.
Poi le organizzazioni hanno cominciato a sbandare verso il caos (spoiler: ci sono ancora lì). Il leader modello “roccia granitica” ha iniziato a fare crepe. Allora si è aperta la stagione del “leader umano”: empatico, aperto, vicino.
Ma solo nel PDF della mission aziendale.
Il problema? Anche questa “umanità” è diventata una posa. Una trasparenza programmata, come le newsletter automatiche che fingono di scriverti a mano. Il risultato è una nuova maschera: meno rigida, ma pur sempre una maschera.
Siamo passati dal leader perfetto al leader finto-imperfetto. Complimenti a noi.
L’autenticità vera (non quella del corso di coaching da 399€ se porti anche un amico)
E se invece la leadership fosse un atto di presenza, più che di rappresentazione?
Non “fai vedere quanto sei ispiratore”, ma “sii davvero lì quando serve”.
Difetti inclusi. Risposte incerte incluse. Capacità di ascolto, soprattutto.
Il punto è che l’autenticità non si improvvisa. Non si costruisce in un weekend formativo con brunch incluso. È una scelta quotidiana, anche scomoda: esporsi, accogliere, restare.
Ammettere che non si hanno tutte le risposte e che spesso si guida un team navigando a vista. E va bene così, se si è disposti a farlo con onestà.
A me l’esperienza sul campo suggerisce proprio questo: smetti di fare il monumento, inizia a fare il collega (collega. Dal lat. collega, der. di legare ‘delegare’).
La leadership oggi non ha bisogno di idoli da adorare, ma di persone vere con cui costruire qualcosa che duri più di un meeting.
Essere leader autentici non vuol dire essere perfetti.
Vuol dire essere affidabili per davvero, senza teatro.
Vuol dire sapere che il potere non è nella distanza, ma nella connessione.